Fig. 1, Interno della chiesa di Santa Maria in Vado

Ricollegandosi alla sezione Studi e Ricerche di questo numero (il 5/6 di “MuseoinVita”), dedicata alla basilica di Santa Maria in occasione del restauro dell’Incoronazione della Vergine di Carlo Bononi, Colpo d’occhio raccoglie una breve, ma significativa, antologia critica focalizzata sugli interventi bononiani nel tempio vadese e sulla percezione della sua opera.

 

La chiesa poi nella quale venne invitato il Bononi a segnalarsi col suo pennello più che altrove fu quella di santa Maria in Vado de’ canonici regolari di s. Salvatore. In questa chiesa si può dire che quanto egli mai sapesse tutto mettesse in comparsa con grande stimolo di riputazione, talmente che mi raccontavano i più vecchi ferraresi, che qualora trovavasi in Ferrara il celebre cav. Barbieri, detto il Guercino di Cento, celebre pittore della sua età, e portavasi nella chiesa di s. Maria in Vado, contemplando le pitture ivi lasciate dal Bononi, espandevasi in atti di ammirazione sovragrandi e non sapea partirsene.

Girolamo Baruffaldi, Vite de’ pittori e scultori ferraresi (1697-1730), vol. II, Ferrara 1844-46, pp. 138-139.

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Anche a voler limitare l’affermazione del Superbi al solo catino absidale, ed a qualcuno soltanto fra i teloni del soffitto […], l’impresa del Bonone resta egualmente precorritrice. Tanto ci sembre esprimere la grande gloria dell’abside, con le sue figure affacciate ed immanenti, gesticolanti contro il libero rannuvolarsi del cielo; dove anzi l’ordine delle suggestioni va diviso fra il ricordo tipicamente rinascimentale (Correggio e Bastianino per quel che riguarda la gloria di Cristo e degli angeli), e più recenti memorie di struttura tipicamente bolognese e ludovichiana per quanto concerne la corona folta e atletica dei Santi che s’allineano sul margine inferiore. A documentare ancora una volta la varietà della cultura del Bonone, nell’ambito dello stesso lavoro, si veda anche la grande Visitazione su tela, sul soffitto della navata maggiore, dove ci pare bene accertare un attimo ancora di ripensamenti neo-veneti, destinati del resto riaffiorare anche nella bella pala oggi a Brera, un tempo a San Domenico di Fabriano: e anche in ciò, tuttavia, sembra potersi stringere un ricordo bolognese, ad esempio, il Miracolo del Sangue, chiaroscurato come un Gabrieri anche se più arrembante; o l’altro bellissimo ottagono con l’Eresia dei Gazari e dei Patari [ndr: ora identificata come Assoluzione dei prete incredulo] che davvero procede verso l’ultimo Lodovico con lo stesso animo dell’allievo Tiarini: ma che insieme più tinto e fantasioso di questi, forse meno tormentato da preoccupazioni formali, è narrato lassù in aria con un gesto così largo e così pigmentato da anticipare fatti di più precisa coscienza secentesca, come le decorazioni di San Pietro a Majella a Napoli, opera grande di Mattia Preti.
[il catino absidale] con il Redentore alonante nella gloria sopraterrena accompagna sulla cadenza di un lontano, quasi ininterrotto filone storico (valga per tutti il genialissimo Bastianino), queste corpi fatti nuovamente umani e concreti, verso un sommuovere temporalesco e maculato, prima ancora che i più proclamati fatti romani del parmense Lanfranco, ad esempio, sciolgano in libero correggismo le già antiche rigidezze del classicismo carraccesco. In più, ci sembra, rispetto a quella frattura che il Lanfranco non riuscirà forse mai a colmare fra vaso formale e campitura cromatica, questa versione emiliana di un preludio barocco pare aggredire il problema con maggiore libertà, puntando tutto sulla carta di un pittoricismo già stemperato e privo di pastoie formali. In questo senso il Bonone si riafferma come un parallelo ferrarese dell’opera di Ludovico Carracci a Bologna; e su strade diverse, indubbiamente con meno profonda intimità, ma forse con più spigliata versatilità di linguaggio, conduce avanti le indicazioni più moderne della scuola lombarda.

Andrea Emiliani, Carlo Bononi, Ferrara 1962, pp. 21-22.

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In Santa Maria in Vado Bononi sarà finalmente il protagonista, in condizione di potere assecondare l’immenso spazio interno dell’edificio con la spazialità illusiva di cui lo studio della grande pittura decorativa veneziana l’ha reso capace. Lo scorcio è una soluzione che persegue già da tempo con determinazione e, se è lecito postulare gli inevitabili riferimenti al Correggio ed in generale ad una tradizione di episodi padano-lombardi del Cinquecento, non è escluso si possa includere anche l’interferenza che nella problematica bononiana in proposito poteva avere apportato la conoscenza degli eccessi di Paolo Guidotti in San Giovanni Evangelista a Reggio Emilia, così come la solidificazione del modello correggesco operata da Badalocchio nella cupola. […] Tuttavia la struttura spaziale di alcune scene di Santa Maria in Vado è a tal punto sapiente da richiedere qualcosa come un effettivo soggiorno di studio a Venezia, a conferma di una affermazione di Baruffaldi, che pure senza riscontri oggettivi sarebbe buona norma filologica porre in dubbio. Infatti, già è difficile spiegare la scena della Visitazione, che è una straordinaria mimesi veronesiano-tintorettesca, cui forse l’estro di Bononi potrebbe essere giunto – ma con variazioni individuali molto vitali – a partire semplicemente dalla Visitazione di Tintoretto di San Pietro a Bologna (ora in Pinacoteca) e da quella di Veronese allora a San Giacomo di Murano ed ora a Birmingham, che però non credo venisse incisa dopo la morte di Bononi. Ma invece una costruzione spaziale come quella della Condanna dell’eresia non sembra davvero immaginabile senza una visita al palazzo Ducale di Venezia che avesse permesso di conoscere opere come il Figliuol prodigo del Tintoretto nel soffitto della saletta degli Inquisitori, o una soluzione illusiva come quella dell’Istria del soffitto della sala delle Quattro Porte, né mi risulta che all’epoca ne circolassero incisioni.

Luigi Ficacci, L’opera ferrarese di Carlo Bononi e del Guercino, in J. Bentini e L. Fornari Schianchi (a cura di), La pittura in Emilia e in Romagna. Il Seicento, vol. II, Milano 1994, p. 291.