Lodovico Mazzolino e l’antico

Pubblicato su “MuseoinVita” | 11-12 | 2020/21


Non esiste la minima prova documentaria che Lodovico Mazzolino abbia mai visitato Roma, eppure l’artista ha più volte tratto ispirazione da un gruppo di bassorilievi antichi che si trovano tuttora nella Città Eterna.

Ci sono quindi due possibili spiegazioni: o Mazzolino è stato a Roma oppure ha conosciuto queste opere attraverso disegni di riproduzione che le copiavano. Nel secondo caso, o era in possesso di queste “copie da” o le aveva copiate a sua volta, perché non tutte le opere nelle quali cita i rilievi sembrano essere state eseguite nello stesso momento.

Nel Cinquecento, i rilievi (fig. 1), che rappresentano fregi di simboli navali e strumenti sacrificali, si trovavano murati all’interno della basilica di San Lorenzo fuori le Mura. Più tardi sono stati rimossi e trasportati al Palazzo dei Conservatori, dove ora fanno parte delle collezioni dei Musei Capitolini[1].

Fregi con simboli navali e strumenti sacrificali

Fig. 1 – Fregi con simboli navali e strumenti sacrificali, incisione da H. von Hohenburg, Thesaurus Hieroglyphicorum, Munich sd (ma 1605 c.)

Elementi di questi fregi compaiono una volta sola in una pala d’altare di Mazzolino, e inoltre tre volte in dipinti di più piccolo formato. In tutti i casi, i simboli navali decorano cornicioni architettonici. La pala, una Madonna con il Bambino in trono tra i santi Andrea e Pietro, ne contiene sei elementi, tre a sinistra e tre a destra del trono centrale. Ora il dipinto, datato verso 1523-24 da Alessandro Ballarin, si ritrova al Museo Civico Ala Ponzone a Cremona, ma non abbiamo notizie sulla sua collocazione originaria[2]. Il primo dei tre quadri più piccoli – il Cristo e l’adultera della Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze (fig. 2), databile verso 1519 – vanta ben dodici simboli[3]; il secondo – il Cristo di fronte a Pilato del Szépmüvészeti Muzeúm di Budapest (fig. 3), databile verso 1520 – ne mostra sei[4]; e l’ultimo – la Circoncisione del Kunsthistorisches Museum di Vienna (fig. 4), che porta la data 1526 – solo quattro[5].

L. Mazzolino, Cristo e l'adultera

Fig. 2 – L. Mazzolino, Cristo e l’adultera, 1519 c., Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti

L. Mazzolino, Cristo di fronte a Pilato

Fig. 3 – L. Mazzolino, Cristo di fronte a Pilato, 1520 c., Budapest, Szépmüvészeti Muzeúm

L. Mazzolino, Circoncisione

Fig. 4 – L. Mazzolino, Circoncisione, 1526, Vienna, Kunsthistorisches Museum

I rilievi erano molto studiati all’epoca, vengono citati da Amico Aspertini e Sebastiano del Piombo, tra altri artisti; il primo in una pagina con la Natività nelle Ore di Bonaparte Ghislieri alla British Library a Londra, e il secondo nel suo Ritratto di Andrea Doria nella Galleria Doria a Roma. Sembra molto probabile che Mazzolino abbia estratto da quei rilievi più elementi che qualsiasi altro artista rinascimentale[6]. Comunque sia, non riproduce tutti gli elementi dei fregi, e non ripete né lo stesso ordine né una sola scelta nei quattro dipinti.

Rimane la questione delle possibili motivazioni del pittore. Sembra evidente che per molti suoi contemporanei l’attrazione per questi bassorilievi era puramente decorativa, ma forse per Mazzolino c’era una ragione in più. La presenza di numerose iscrizioni in alfabeto ebraico nei suoi dipinti – testi incomprensibili per quasi tutti nella Ferrara del suo tempo, al di fuori della comunità ebraica – sembra indicare il suo desiderio di accompagnare le storie bibliche con arcane, e in questo senso i geroglifici avevano un immenso fascino[7]. Paradossalmente, per gli uomini del Rinascimento era proprio il fatto di non capire il loro significato ad aumentare la loro forza attrattiva e evocare i misteri di una civilizzazione estinta.

 

Note

[1] P.P. Bober e R.O. Rubinstein, Renaissance Artists and Antique Sculpture: A Handbook of Sources, Londra 1986, pp. 225-226, n. 193, e R. Wittkower, Hieroglyphics in the Early Renaissance, in Allegory and the Migration of Symbols, Londra 1977, pp. 114-28, in part. p. 119, fig. 165, con bibliografia precedente.

[2] A. Ballarin, Dosso Dossi: La pittura a Ferrara negli anni del ducato di Alfonso I, 2 voll., Cittadella (Padua), 1995, vol. I, p. 252, n. 174, e vol. II, fig. 688.

[3] A. Ballarin, Dosso Dossi: La pittura a Ferrara negli anni del ducato di Alfonso I, 2 voll., Cittadella (Padua), 1995, vol. I, pp. 245-46, n. 158, figg. CXLVI e 90.

[4] A. Ballarin, Dosso Dossi: La pittura a Ferrara negli anni del ducato di Alfonso I, 2 voll., Cittadella (Padua), 1995, vol. I, p. 247, n. 162 figg. CXLVIII e 96.

[5] A. Ballarin, Dosso Dossi: La pittura a Ferrara negli anni del ducato di Alfonso I, 2 voll., Cittadella (Padua), 1995, vol. I, p. 256, n. 186, figg. CLXXXVI e 121.

[6] T. Kren (a cura di), Renaissance Painting in Manuscripts: Treasures from the British Library, cat. della mostra, (J. Paul Getty Museum, Malibu, Pierpont Morgan Library, New York, e British Library, London, 1983-84, p. 126, tav. XIX, e M. Hirst, Sebastiano del Piombo, Oxford 1981, pp. 105-06, tav. 124.

[7] R. Wittkower, Hieroglyphics in the Early Renaissance, in Allegory and the Migration of Symbols, London 1977, pp. 114-28.

 

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