La tradizione ferrarese vuole che, nel luogo in cui attualmente è situata la basilica di Santa Maria in Vado, sorgesse in tempi antichissimi un piccolo capitello su cui nel V secolo era collocata un’immagine di Maria Vergine detta di San Luca, forse assai simile all’icona bizantina che ancora si venera nella quarta campata a destra dell’ingresso principale (oggi probabilmente soltanto copia quattrocentesca dell’immagine più antica, realizzata dal pittore veneto cretese Andrea Rizo da Candia[1]). In onore della «augusta signora»[2] sarebbe stata fabbricata intorno al 457 una prima chiesa, arricchita poi del fonte battesimale per agevolare gli abitanti del Borgo Vado, altrimenti costretti ad attraversare il guado del Po per recarsi a ricevere i sacramenti nella cattedrale di San Giorgio.

Fig.1, Interno della chiesa di Santa Maria in Vado
Non esistono immagini di questa costruzione, dalle dimensioni molto ridotte, ma le fonti permettono di ricostruire la sua struttura: in particolare Luigi Napoleone Cittadella afferma che «avea la facciata rivolta a settentrione, e riesciva situata dove attualmente sta il quarto altare della nave»[3] . L’unica parte oggi rimasta è la piccola volta di tale cappella: essa è la testimonianza di un prodigio eucaristico avvenuto alcuni secoli prima, il miracolo del Preziosissimo Sangue. Il prodigio avviene il 28 marzo 1171, giorno di Pasqua, sotto la reggenza dei canonici regolari portuensi di Ravenna, ed è ricordato nella letteratura locale come significativo esempio del mistero eucaristico, posto in discussione dai movimenti ereticali attivi a più riprese a Ferrara come nel resto d’Italia. Scrive Giuseppe Antenore Scalabrini che in quel frangente «vole il Signore manifestare ai miscredenti ed eretici di quel tempo l’esistenza reale del suo corpo e sangue sotto le specie sagramentali nel gran sacrificio dell’altare, quando Pietro da Verona […] venuto all’atto di spezar l’ostia sagrosanta, da essa ne usì in tal abbondanza il vivo e vero sangue che […] a vive gozie s’attaccò e spruzzò tutta l’Abside ò sia volto della Capella sotto di cui si celebrava»[4] . Alcune fonti aggiungono che al momento della fractio panis il Corpo del Signore apparve agli astanti «in figura di vera carne»[5] , altre asseriscono che dall’Ostia si levò «una prodigiosa figura di Bambino»[6] . Non manca chi attribuisce al celebrante il dubbio circa il mistero dell’Eucaristia, considerando questo come l’elemento scatenante della dimostrazione divina. Da allora, la piccola abside diviene luogo di culto e pellegrinaggio, e la fama del Preziosissimo Sangue si propaga anche fuori dall’Italia: la Gemma Ecclesiastica di Giraldo Cambrense, conservata presso la Biblioteca Lambethiana di Canterbury, può essere considerata come la prima testimonianza scritta del prodigio[7].
Alla fine dell’ottavo decennio del Quattrocento[8], in seguito ad alcuni crolli strutturali, su iniziativa del duca Ercole I d’Este viene avviata la ricostruzione della chiesa, sede del miracolo, con la conseguente trasformazione in basilica: i lavori vedono la collaborazione dell’architetto di corte, Biagio Rossetti, del pittore Ercole de’ Roberti e del capomastro Bartolomeo Tristano[9], secondo una distribuzione di ruoli che da tempo appassiona gli studiosi, e che le recenti ricerche archivistiche compiute in occasione dell’edizione delle Iscrizioni sepolcrali e civili di Ferrara con le piante delle chiese raccolte da Cesare Barotti hanno ulteriormente cercato di chiarire[10]. La nuova basilica, inaugurata nel 1518 da Desiderio Vescovo Umbraticense[11], è dedicata all’Annunciazione di Maria Vergine: l’antica volta intrisa del Preziosissimo Sangue, prelevata dall’antica parete, viene inserita nella nuova costruzione, nel braccio destro del transetto dove tuttora si trova, il 26 marzo 1501[12].

Fig.2, Camillo Filippi, Annunciazione con San Paolo, 1552 circa, Santa Maria in Vado, altare maggiore
Mentre la pianta della basilica dell’età di Ercole resta pressoché inalterata sino ai giorni nostri, sia la copertura, sia la decorazione interna ed esterna, sia l’illuminazione prevista nel progetto originario vengono modificate dopo il terremoto del 1570[13]. Infatti, a conclusione dello sciamo sismico, che perdurò in città per i tre anni successivi, la basilica minacciava rovina e richiedeva urgenti restauri architettonici che interessarono l’intero edificio[14], portando all’innalzamento della navata centrale e alla soppressione dell’antica cupola presente invece nel progetto rossettiano[15]. In seguito alla ricostruzione post sisma, tra il 1580 e il 1581, Domenico Mona realizza su commissione dell’abate Giovan Battista Domenichi, prestigioso canonico ed intellettuale, una serie di opere per il presbiterio[16]. Si tratta dei due teleri con la Natività della Vergine e la Natività di Cristo, rispettivamente a sinistra e a destra dell’altare maggiore, e della grande tela del soffitto con l’Assunzione della Vergine, che rimandano al culto mariano, racchiudendo come fra due quinte teatrali la splendida Annunciazione di Camillo Filippi, posta sull’altare maggiore e realizzata prima del riallestimento successivo al devastante terremoto[17]. Non è chiaro quale fosse la situazione dell’area presbiteriale precedente il sisma del 1570; tuttavia «possiamo ipotizzare che già a metà del quinto decennio del Cinquecento i canonici di Santa Maria in Vado fossero impegnati in un complesso aggiornamento decorativo»[18], culminato nell’opera del Filippi, dove alla figuratività manierista si coniuga una didascalica chiarezza, propria della prima Controriforma.
Nel 1594, su progetto dell’architetto Alessandro Balbi e per volere del duca Alfonso II d’Este, viene poi realizzato il tempietto intorno alla piccola volta del miracolo. Si tratta di un santuario in miniatura, formato da una cappella inferiore con colonnette binate di ordine dorico e base attica e da una superiore con colonnette ioniche, alla quale si accede mediante due scale laterali e su cui poggia un timpano ornato di lampade e fregi che regge a sua volta una piccola cupola[19]. Ai lati della cupola si trovano due statue che sorreggono pergamene recanti brani scritturali; all’interno di essa altre cinque rappresentano i santi Agostino, Girolamo, Gregorio ed Ambrogio attorno al Redentore.
Alla personalità del «molto Reverendo P.D. Giorgio Fanti Ferrarese Dottor Teologo»[20], «gran restauratore»[21] del tempio vadense con l’ordine dei canonici regolari, titolari della basilica sin dai tempi del miracolo del Preziosissimo Sangue, dobbiamo invece il progetto del ciclo decorativo seicentesco, omaggio alla storia prodigiosa del sito ed alla dottrina controriformista, divenuto realtà grazie al pennello di Carlo Bononi che, assieme ai decoratori Faccini, Grassaleoni e Casoli, interverrà nella navata, nel transetto e nel Catino absidiale una prima volta entro l’agosto del 1617. Un programma decorativo che vedrà una seconda importante fase a parte dalla fine 1622 quando, su commissione del nuovo priore del tempio vadese Tito Prisciani, sempre Bononi viene nuovamente coinvolto nella realizzazione di due grandi tele nella tribuna e intorno alle finestre della zona presbiteriale[22].
La basilica conoscerà nuovi importanti cantieri nel XVIII secolo, quando la costruzione tardo cinquecentesca del tempietto dedicato al prodigioso miracolo eucaristico, viene incorniciata dall’affresco rappresentante la Tenda del Padre Eterno che si compiace del miracolo avvenuto, opera di Francesco Parolini[23], con decorazioni laterali di Giacomo Filippi e Giuseppe Antonio Ghedini[24], che interesseranno tutto il transetto. Gli interventi settecenteschi non alterarono il percorso generale del fedele all’interno della basilica vadese, che dopo i cicli precedentemente citati, continua nelle cappelle laterali, consacrate al culto di diversi santi, alcuni particolarmente legati alla devozione di alcune delle famiglie che ruotavano attorno alla basilica – San Giovanni evangelista, Santa Cecilia, Sant’Antonio da Padova – ed altri meno noti – Sant’Agricola, Sant’Omobono, il Beato Arcangelo Canetoli – ma comunque importanti per il messaggio di fede che possono comunicare al fruitore, anche trascendendo da un contesto storico preciso[25].

Fig.3, Veduta del transetto destro con il Tempietto del miracolo eucaristico.
L’importanza di questi culti apparentemente minori è testimoniata dal fatto che, negli anni ’30 del XIX secolo, al momento dell’acquisizione da parte della Pinacoteca Civica di alcune tele rappresentanti sia Santi che scene tratte dalle Scritture, il programma iconografico originario non viene rivoluzionato mediante l’acquisizione di opere diverse ma è al contrario mantenuto, grazie alla realizzazione delle copie esatte dei quadri rimossi. In un’epoca che vede la rinascita della Scuola d’Ornato e la stesura dei primi regolamenti sulla conservazione delle opere d’arte, il copista si impegna a recuperare «i valori della patina e del gusto antiquariale»[26], servendosi di tecniche e materiali usati nell’antichità. Così, mentre le tele di Battista Dossi, di Domenico Panetti, del Bastianino e del Carpaccio vengono trasferite nei locali della Pinacoteca, e qui liberate dalle ridipinture e dagli attacchi del tempo, nella Basilica rimangono quelle di Alessandro Candi e di Gregorio Boari, Giacomo Bartoli, Ludovico Giori ed Antonio Boldini[27].
L’iconografia delle cappelle laterali resta sostanzialmente immutata sino al 1920: in occasione dei restauri effettuati per arginare i danni di un terremoto[28] , le due cappelle laterali al Tempietto del Preziosissimo Sangue – di proprietà delle famiglie Varani e Calcagnini – vengono infatti trasformate in luoghi votati alla memoria dei Caduti, sia quelli della Grande Guerra, sia quelli della Rivoluzione Fascista, che aveva investito con violenza anche Ferrara. Tale intervento, realizzato in tempi brevi, si colloca nel solco di una mutata ideologia politica e di una consapevole esaltazione di valori civili. I dedicatari delle cappelle rinnovate sono infatti non solo i soldati ferraresi caduti nel corso della Prima Guerra Mondiale, ma anche i Caduti Fascisti, gli uomini periti cioè durante i sanguinosi scontri armati con i gruppi socialisti locali, in una lotta fratricida che causò molte perdite da entrambe le parti[29]. L’indizio più importante del mutamento è senz’altro rappresentato dalle targhette commemorative in marmo chiaro che spiccano sulle pareti delle cappelle: i nomi dei Caduti, ricordati qui e non nel camposanto cittadino, assumono il valore di un monito, deciso ed efficace come nei migliori cartelloni propagandistici dei quali, sappiamo, il Regime ha fatto largo uso per diffondere i propri ideali. La disposizione delle tele fino ad allora presenti viene rivoluzionata, con la sola eccezione dell’opera attribuita convenzionalmente a Girolamo da Cotignola, La Giustizia e la Fortezza, che mantiene tuttora lo stesso posto sulla parete di destra della Cappella Varani, e della tavola con Sant’Omobono in atto di dispensare elemosine ai poveri, su quella di sinistra. I cambiamenti più significativi si verificano nella Cappella Calcagnini, dove vengono tolte le antiche tele e aggiunte opere di artisti contemporanei che rispondono ad un’esigenza non solo decorativa, ma soprattutto di esaltazione patriottica. Si tratta dell’Addolorata di Ippolito Medini, quadro «che si distacca per i suoi colori, completamente dagli altri che si trovano nella basilica»[30], e del Crociato in preghiera di Gian Battista Roj, «un giovane cavaliere tutto vestito di ferro», che rappresenta «il coraggio virile, la forza delle armi, la virtù del cuore – la virtus romana – che piega il ginocchio innanzi al Dio degli Eserciti, prima dell’aspro combattimento»[31].
Da sempre, questo tempio rappresenta, per i ferraresi un punto di riferimento in cui riconoscersi e nel quale custodire i propri ideali, sociali oltre che religiosi. Coloro che, nel corso dei secoli, si sono avvicendati alla guida della città – prima i membri della casa d’Este, poi i Legati pontifici, infine i rappresentanti del Partito Fascista – ne hanno sfruttato dunque il potere di aggregazione e di identificazione, intervenendo spesso con operazioni di abbellimento e restauro che risultassero significative per sostenere la propria causa.
Riportata al suo antico splendore dopo numerose campagne di restauri – un importante ciclo di lavori risale agli anni 1993-2000, mentre in seguito al sisma del 2012 si sono resi necessari altri interventi – la basilica di Santa Maria in Vado ancora oggi rappresenta un centro devozionale ed artistico di grande interesse per la città, ed è frequentata sia dai turisti che dai molti fedeli che spesso si possono incontrare fra le sue mura. La particolare storia di questo tempio, unitamente al pregio delle opere d’arte in esso custodite, ha contribuito ad accrescerne l’importanza all’interno dell’immaginario ferrarese; una fortissima valenza simbolica, sempre presente in tutte le epoche, ha saputo sostenere ideologie di volta in volta diverse, e tuttora la rende portatrice di una suggestiva aura sacrale.
Note
Nell’ormai lontano 2003, terminai il Corso di Laurea in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Ferrara con una tesi intitolata La Basilica di Santa Maria in Vado nell’immaginario ferrarese, dalla rilettura della quale scaturisce questo contributo. Desidero ringraziare il mio relatore di allora, Ranieri Varese, e i Musei di Arte Antica che oggi mi danno l’occasione di aggiornare e condividere il mio lavoro.
[1] C. Brisighella, Descrizione delle pitture e sculture della città di Ferrara (1700-1735 ca.), a cura di M.A. Novelli, Ferrara 1991, p. 388; B.Giovannucci Vigi, Contributo ad una storia della scultura ferrarese del Seicento in La chiesa di san Giovanni Battista e a cultura ferrarese del Seicento, Milano 1981, p. 100, con bibliografia precedente.
[2] G. Cavallini, Omaggio al Sangue miracoloso che si venera nella Basilica parrocchiale di Santa Maria del Vado in Ferrara, Ferrara 1878, p. 247.
[3] L. N. Cittadella, Indice manuale delle cose più rimarcabili in pittura, scultura, architettura della città e borghi di Ferrara, Ferrara 1844, p. 139.
[4] G. A. Scalabrini, Guida per la città e i borghi di Ferrara in cinque giornate, ca. 1755, trascrizione a cura di C. Frongia, “I quaderni del Liceo Ariosto”, n. 6, Tipo – Litografia Artigiana, Ferrara 1997, p. 90.
[5] E. Cimatti, Cenni storici intorno al sangue miracoloso che si venera nella parrocchiale basilica di S. Maria in Vado in Ferrara, Taddei, Ferrara 1857, p. 9.
[6] G. G. Reggiani, Guida artistica di Ferrara e dintorni, Stabilimento tipografico ferrarese, Ferrara 1908, p. 87.
[7] A. Samaritani, La testimonianza di Giraldo Cambrense (ca. 1197) sul miracolo eucaristico di Ferrara del 28 marzo 1171, S.A.T.E, Ferrara 1985.
[8] G. Marcolini, La basilica di Santa Maria in Vado. Da “picciol capitel” a custode del “prodigioso Sangue” in La Basilica di Santa Maria in Vado a Ferrara, Ferrara 2001, pp. 35-40.
[9] Archivio Storico Diocesano, Fondo S. Maria in Vado, Busta 7, Caps. XV, s.d.; trascrizione in A. Franceschini, Artisti a Ferrara in età umanistica e rinascimentale. Testimonianze archivistiche, parte II tomo II, (dal 1493 al 1516), Ferrara 1997; doc. 291, pp. 246- 247.
[10] C. Mezzetti (a cura di), Le iscrizioni sepolcrali e civili di Ferrara con le piante delle chiese a cura di Cesare Barotti, III, Santa Maria in Vado, Ferrara 2016.
[11] M. A. Guarini, Compendio historico dell’origine, accrescimento e prerogative delle Chiese e Luoghi pii della città e diocesi di Ferrara e delle memorie di que’ personaggi di pregio che in esse sono sepelliti, Ferrara 1621, p. 302.
[12] G. M. Maffei, Memorie storiche, sec. XVIII, ms. Coll. Antonelli, n. 483, Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara, c. 194.
[13] Marcolini, La basilica cit., p.42.
[14] «Il terribile terremoto che cominciò a farsi sentire in questa città la notte del 17 novembre 1570, e si ripeté poi interpolatamente, e sempre imperversando, per tre e più anni; che subbissò pubblici e privati edifizi, e chiese e monasteri e torri annesse, fra quest’ultime, leggesi nelle storie e in un assai specificato Ragguaglio, che atterrò anche quella di S.M. in Vado, con quasi tutto il convento, e che la Chiesa ne rimase molto offesa in diverse parti, e solo restò intatta la Cappella del Preziosissimo Sangue cotanto prossima alla torre ruinata»: F. Dal Passo, Del preziosissimo miracoloso sangue di N. S. G. C. che si venera nella Parrocchiale di Santa Maria in Vado di Ferrara. Breve sunto tratto dalle patrie storie, Ferrara 1869, pp. 24 – 25.
[15] Marcolini, La basilica cit., p.41.
[16] R.P. Cristofori, Giovanni Battista Domenichi e Santa Maria in Vado: un committente «vigilantissimo» per Domenico Mona, “Museonivita. Musei di Arte Antica del Comune di Ferrara, notizie approfondimenti”, 3/4, giugno-dicembre 2016, museoinvita.it.
[17] A. Pattanaro, Camillo Filippi. «Pittore intelligente», Verona 2012, pp. 101- 102.
[18] Cristofori, Giovanni Battista Domenichi cit.
[19] Brisighella, Descrizione, cit., p.389.
[20] M. A. Guarini, Compendio Historico dell’origine delle Chiese, e Luoghi Pij, della Città, e Diocesi di Ferrara, Baldini, Ferrara 1621; ristampa anastatica, Ferrara, 1988, p. 304.
[21] Ibidem, p.. 315.
[22] Si veda in questo stesso numero l’intervento di G. Sassu, Il cuore liquefatto di Bononi in Santa Maria in Vado oltre a: G. Sassu, Un nuovo (?) genio delle arti di Carlo Bononi, in “Museonivita. Musei di Arte Antica del Comune di Ferrara, notizie e approfondimenti”, 3-4 giugno-dicembre 2017, museoinvita.it; per una rilettura del percorso dell’artista, si veda ora Carlo Bononi. L’ultimo sognatore dell’Officina Ferrarese, Fondazione Ferrara Arte, Ferrara 2017; catalogo della mostra a cura di G. Sassu e F. Cappelletti, (Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 14 ottobre 2017 – 7 gennaio 2018), Ferrara 2017.
[23] C. Barotti, Pitture e Scolture che si trovano nelle Chiese, Luoghi pubblici, e Sobborghi della Città di Ferrara, Ferrara 1770, p. 147.
[24] B. Giovannucci Vigi, Giuseppe Antonio Ghedini e il rinnovamento pittorico settecentesco del transetto in La basilica di Santa Maria in Vado a Ferrara, Ferrara 2001, pp. 87-107.
[25] Un esempio molto significativo è quello della famiglia Goretti che, attraverso il musicista Antonio, commissionerà a Bastianino dopo il 1598 la pala dell’altare della propria famiglia, la Santa Cecilia ora nella locale Pinacoteca Nazionale: A. Valentini, Sebastiano Filippi e Antonio Goretti: rapporti tra le arti a Ferrara alla fine del Cinquecento, “Musica e Figura”, 1, 2011, pp. 119–142.
[26] A. P. Torresi, Appunti per una storia del restauro dei dipinti a Ferrara nel corso dell’Ottocento, in L. Scardino, A. P. Torresi (a cura di), Neo-estense. Pittura e restauro a Ferrara nel XIX secolo, Ferrara, 1995, p. 46.
[27] L. Lodi, Dipinti d’altare e “copie” di Santa Maria in Vado (dalla chiesa alla Pinacoteca), in La basilica di Santa Maria in Vado a Ferrara, Ferrara 2001, pp. 109-123.
[28] G. Melchiorri, I restauri al Tempio di Santa Maria in Vado, “Gazzetta Ferrarese”, 26/9/1920, s.n.p. e D. Zaccarini, Per un’opera di bellezza. Il restauro di S. M. del Vado, “Gazzetta Ferrarese”, 15/10/1920, s.n.p.
[29] A. Pozzi, Le Cappelle votive in memoria dei Caduti nella Basilica di Santa Maria in Vado, “Gazzetta Ferrarese”, 11/06/1924, s.n.p.
[30] L. Colagiovanni, Notizie storiche sulla Basilica di S. Maria in Vado e Santuario del Sangue Prodigioso, Ferrara 1936, p. 23.
[31] A. Pozzi, Le Cappelle cit., s.n.p.
Pubblicato su “MuseoinVita” | 5-6 | giugno-dicembre 2017