Nell’atrio di palazzo Schifanoia da oltre un secolo, esattamente dal 1898, anno di inaugurazione del Museo Civico d’Arte Antica, spiccano i busti dei “benemeriti” della istituzione museale, ossia soprattutto di coloro che l’hanno arricchita con generosi lasciti.
Se il più antico raffigura il settecentesco cardinal Gian Maria Riminaldi (fig. 1) ed è copia di quello del carrarese Domenico Andrea Pelliccia, allogato al palazzo Bonacossi, gli altri tre –Vincenzo Bellini (fig. 2), Giuseppe Antonelli (fig. 3), Pietro Niccolini (fig. 4) – vennero eseguiti da Giovan Battista Longanesi, scultore ferrarese del quale si è persa la memoria storica a soli 150 anni dalla nascita.
- Fig. 1, Domenico Andrea Pelliccia (copia da), Busto di Gian Maria Riminaldi, 1785, Ferrara, Palazzo Schifanoia, atrio
- Fig. 2, Giovan Battista Longanesi, Busto di Vincenzo Bellini, 1898, Ferrara, Palazzo Schifanoia, atrio
- Fig. 3, Giovan Battista Longanesi, Busto di Giuseppe Antonelli, 1898, Ferrara, Palazzo Schifanoia, atrio
- Fig. 4, Giovan Battista Longanesi, Busto di Pietro Niccolini, 1898, Ferrara, Palazzo Schifanoia, atrio
Giovan Battista Longanesi-Cattani, in realtà, era nato nel 1865 a Brescia, da Orazio, medico romagnolo lì trapiantato. Dopo la precoce scomparsa del padre (travolto da un tram), la madre, Beatrice Grossi, decise di rientrare nel Ferrarese, portando con sé i due figli ancora bambini: oltre a Giovan Battista, il primogenito Angelo, classe 1860, destinato a divenire il più significativo pittore ferrarese del primo Novecento.
Dimostrando entrambi una propensione per il disegno, i fratelli Longanesi furono indirizzati dalla madre a studi artistici, compiuti dapprima nella scuola di Ferrara e quindi approfonditi nelle aule dell’Accademia di Belle Arti a Bologna, dove Giovan Battista fu allievo del toscano Salvino Salvini.
Il maestro, docente a Bologna dal 1861, aveva rivelato, al di là di solide qualità veristiche inseribili nel più tipico gusto umbertino, una propensione per il recupero pittoresco di un Medioevo “troubadour”, con retaggi antiquariali che ebbero – a quanto pare – un influsso nell’opera futura dell’allievo ferrarese: basti pensare ai monumenti di Salvini sparsi per la Toscana, a partire da quello eretto al frate-musicista Guido Monaco ad Arezzo, con sapidi richiami pomposiani. Quindi, ai monumenti a Nicola Pisano (in una piazza di Pisa) e a Giovanni Pisano (Camposanto di Pisa), alla scultura per la facciata neo-gotica del Duomo di Firenze, alla statua del Giotto fanciullo esposta a Napoli nel 1877. Infine, nel Ferrarese, è suo l’angelo “preraffaellita” eseguito nel 1879 per i nobili Turgi di Ferrara (tomba di famiglia in Certosa), ma collocato dal 1959 nell’asilo parrocchiale di Mizzana.

Fig. 5, Giovan Battista Longanesi, Tre bambini, 1890 circa, Roma, collezione privata
Uscito dalle aule di Salvini con spiccata propensione per la ritrattistica plastica, Longanesi rivelò, nel contempo, un grande interesse per la grafica e l’illustrazione libraria, tanto che nel 1893 alla Mostra Artistica Ferrarese (per il cui catalogo progettò la leggiadra copertina) espose «disegni, schizzi a penna, fantasie»[1] e nel 1894 alle Esposizioni Riunite di Milano presentò vari saggi grafici per diverse case editrici (fig. 5): ma quel che più sembrò interessarlo fu la ripresa dell’antica tecnica della miniatura. Egli studiò gli esemplari custoditi presso la Biblioteca di Ferrara a Palazzo Paradiso e nel Museo Civico, per il quale nel 1898 eseguì i tre succitati busti: i codici e i corali d’età estense lo affascinavano, ma nel contempo Longanesi tentò di modernizzarne la tradizione, usando chine, inchiostri e pennini e supporti diversi, ma anche una più aggiornata iconografia.
Il suo successo maggiore come miniaturista lo riscosse a una mostra allestita a Roma nel 1899, dove venne premiato per una collezione di miniature «acquistata dal duca Galeazzo Massari per la sua galleria d’arte antica e moderna […] non senza esprimere personalmente la più profonda ammirazione per l’artista, al quale affidò la cura della sua stessa galleria», come riportava un interessante articolo apparso nel 1909 sulla “Gazzetta Ferrarese”[2]. Significativa notazione, questa, che trasporta la misconosciuta figura di Longanesi nell’affascinante mondo dell’antiquariato e del collezionismo ferrarese: proprio mentre acquistava le sue miniature, il duca Galeazzo Massari-Zavaglia, nel contempo, comprava la celebre collezione Saroli-Lombardi, composta da oltre 200 antichi dipinti, della quale sembra abbia nominato curatore lo stesso Longanesi, congiuntamente ad Augusto Droghetti, pittore e direttore della Civica Pinacoteca, il quale nel 1901 ne aveva redatto il catalogo a stampa. In realtà, l’acquisto delle miniature su avorio, dal soggetto non specificato da parte del celebre duca-collezionista risale all’anno seguente, come informa la “Gazzetta Ferrarese” del 6 maggio 1902[3].
Altro nobile che si avvalse dell’opera di Longanesi fu il conte Giovanni Grosoli, il quale affidò a lui e al fratello Angelo, per impartirgli doverose nozioni d’arte figurativa, un giovane estroso al quale teneva molto e che abitava nel suo palazzo di via Montebello: Luigi Filippo Tibertelli, più famoso come Filippo de Pisis.
In realtà, sin da bambino, quest’ultimo aveva avuto un precettore di pittura, il modestissimo Odoardo Domenichini, che non aveva dovuto soddisfare particolarmente né lui né Grosoli, il quale pensò di farlo perfezionare, quindi, presso la scuola privata dei fratelli Longanesi, nella loro casa-studio di corso Porta Mare. Se Angelo gli insegnò meglio a impastare i colori e a trattare la composizione sulla tela, evidentemente Giovan Battista dovette fargli conoscere i segreti della miniatura che l’estroso e precoce allievo quindicenne amava come genere, a supporto delle ricerche erudite che già andava compiendo attorno a monumenti, personaggi e artisti ferraresi del passato.
Anche se non conosciamo miniature di gusto anticheggiante del Longanesi (la pergamena con i nomi dei soci del Circolo Unione del 1903 ha solo un semplice motivo decorativo nel fastigio) è da presumere che il maestro abbia seguito personalmente il geniale Filippo de Pisis nel 1912, allorché egli miniò in stile neo-estense il celebre Cantico delle Creature per offrirlo allo stesso Grosoli, mentre la parte scritta fu eseguita dal calligrafo (ed ugualmente erudito) Gualtiero Medri. L’opera miniata dal sedicenne De Pisis si conserva a Ferrara, presso la Fondazione Cassa di Risparmio.

Fig. 6, Giovan Battista Longanesi, Ritratto femminile (la signora Ricci-Pavanelli ?), 1898, Ferrara, collezione Scardino
Di Longanesi si ritrovano, invece, un paio di miniature su celluloide nella collezione Sgarbi a Ro Ferrarese (una immagine di vecchia nobile a figura intera e vestita di scuro in un giardino, datata 1896) e in quella dello scrivente, che raffigura una spumeggiante ragazza di tre quarti, rivestita da una elegante pelliccia d’ermellino (fig. 6). Datata 1898, potrebbe trattarsi di quella «miniatura in toilette da ballo della signora Ricci Pavanelli [che] è riuscita un vero capolavoro», per riportare le parole del predetto articolo del 1909[4]: singolare in questo ritratto, quasi “boldiniano”, è il tipo di supporto, la celluloide, ovvero lo stesso che si usava per le pellicole del cinema muto.
Altro articolo, ugualmente di anonimo giornalista, apparve sul “Corriere del Lunedì” nel 1927: e anche qui furono esaltati i suoi lavori di miniatura e le pergamene, definendo Longanesi un «degno continuatore di quella gloriosa schiera di pazienti cesellatori della materia bruta che nei secoli andati […] ci han dati i tesori che oggi ammiriamo nelle nostre biblioteche, nei musei, nelle pinacoteche […]»[5]. L’opera di Longanesi si inseriva, quindi, in modo pertinente, in quel “revival” primo-novecentesco della miniatura, che vide (oltre alla riscoperta storiografica di quella antica, anche a Ferrara) la stampa di repertori e manuali moderni[6].
Longanesi eseguì per tutta la vita pergamene, diplomi e miniature (del 1927 è la pergamena a Marino Ferretti, commissionata dai mutilati ferraresi di guerra ed eseguita con «squisita fattura»[7]), ma la scultura rivestì per lui un ruolo preponderante, soprattutto allorché, nel 1910, riuscì a ottenere la cattedra di Plastica presso la civica scuola d’arte di Ferrara, sostituendo Luigi Legnani, appena scomparso. In realtà, il nostro artista, incoraggiato soprattutto dal fratello Angelo, che in quella scuola insegnava stabilmente Figura, era stato per qualche tempo coadiutore e supplente, sostituendo via via i docenti nei corsi di Ornato e Geometria, Decorazione e Plastica, per l’appunto, allorché i titolari si ammalavano per brevi o lunghi periodi. Una sorta di “jolly” polifunzionale era Giovan Battista Longanesi, al quale evidentemente l’insegnamento privato non bastava e che nella scuola ferrarese dedicata a Dosso Dossi resterà per circa un trentennio.

Fig. 7, Giovan Battista Longanesi, L’antiquario, 1912 circa, Torino, collezione Magri
Il fratello maggiore lo aiutava in ogni modo, chiamandolo a decorare con lui alcuni caffè cittadini o facendogli eseguire repliche delle sue opere, quando queste venivano vendute: emblematico è il caso del dipinto L’antiquario (1912 circa), soggetto significativo in quanto conferma della frequentazione del mondo dei mercanti d’arte, copiato da Giovan Battista ad acquerello (fig. 7), ma altresì omaggiato dal giovane De Pisis, in una replica ad olio presso la collezione Fioravanti, che differisce dall’originale per l’aggiunta di una “fiorentina” e di un più libero trattamento pittorico.
Al sentimentaleggiante e talora zuccheroso mondo del fratello maggiore si avvicina, inoltre, il dipinto di Giovan Battista raffigurante Due bambine (1900 circa) in collezione Bolognesi, con la ragazzina che bacia sulla fronte l’amica dormiente (fig. 8), mentre un omaggio di Angelo al fratello sembrerebbe Il venditore di statuette (1926 circa), olio conservato in una raccolta di Roma (fig. 9). Qui il giovane aiutante di un antiquario stringe fra le mani due sculture che potrebbero essere state benissimo modellate da Giovan Battista: il sunnominato articolo del 1927 fa infatti riferimento a terrecotte raffiguranti un giovane spazzacamino e una vivace scugnizza napoletana, che dalla descrizione non sembrano molto lontane dal gusto delle sculture che regge il giovinetto, il quale a sua volta pare un berciante scugnizzo[8].
- Fig. 8, Giovan Battista Longanesi, Due bambine, 1900 circa, Ferrara, collezione Bolognesi
- Fig. 9, Angelo Longanesi Cattani, Venditore di statuette, 1926 circa, Roma, collezione privata
Gli articoli su Longanesi citano inoltre immagini sacre (un bassorilievo in gesso raffigurante Il Nazzareno e una Madonna a medaglione, che sprizzava «dolce bontà e austera regalità»[9]), ma soprattutto ritratti di borghesi della città e della provincia: busti del conte Braghini, di Pavanelli di Copparo, dell’onorevole Adolfo Cavalieri, del marchese Alessandro Di Bagno, pastelli raffiguranti il conte Gardani, il cavalier Augusto Forti (sindaco di Migliarino), il capitano Viola, il signor Pavanelli e persino «due bellissimi nudi dal vero»[10], collocati nell’atrio dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, dopo aver ricevuto l’elogio del direttore Enrico Panzacchi.
Queste opere sono per noi irreperibili, mentre abbiamo rintracciato una serie di sculture di ambito pubblico, al di là dei tre busti di “benemeriti” di Palazzo Schifanoia.
Anzitutto, la lunetta della Parrocchiale di Rovereto di Ostellato (1911) con la raffigurazione di Cristo che accoglie tre fanciulli in un tripudio floreale (l’evangelico «lasciate che i pargoli vengano a me», Mt. 19, 13-15), risolto con finezza di piani e sottosquadri, quasi da stiacciato: “miniature scolpite” potrebbero spesso esser definite le sue sculture, a mo’ di ossimoro, come confermano un paio di ritratti virili in gesso dalla delicatissima resa formale (figg. 10 e 11). La chiesa di Rovereto fu decorata con la collaborazione del fratello Angelo, il quale si avvalse per le parti in ceramica della manifattura Minardi di Faenza.
- Fig. 10, Giovan Battista Longanesi, Ritratto maschile, 1900 circa, Ferrara, collezione Scardino
- Fig. 11, Giovan Battista Longanesi, Ritratto maschile, 1900 circa, ubicazione ignota, particolare
Quindi, tra le opere ritrattistiche di Giovan Battista spiccano il vivido busto marmoreo dell’ex-sindaco Acquirino Pinza, collocato nel 1926 nell’atrio dell’Istituto Virgili di Comacchio – mentre il modello in gesso è nella civica raccolta d’arte a Palazzo Bellini (fig. 12) – e quello di Giuseppe Beretta, caduto nella Grande Guerra, collocato nel cimitero della Certosa di Ferrara, sopra la figura a grandezza naturale di un artigliere, pure essa a lui ascrivibile. La realizzazione di entrambe le opere sui suoi modelli si deve alla ditta Beretta di Ferrara, attiva per decenni nella lavorazione del marmo, mentre nella Certosa ferrarese è rimasto in gesso il busto di Augusto Eppi.
Nell’ultimo quindicennio di vita, Giovan Battista si affezionò particolarmente a un allievo di Bondeno, il pittore Gaetano Tassi (pur avendo avuto altri notevoli apprendisti, quali furono gli scultori Ulderico Fabbri e Laerte Milani) e mantenne con lui un rapporto privilegiato anche dopo che questi aveva completato gli studi presso la scuola civica Dosso Dossi. Nell’aprile 1942, favorevolmente colpito dalla circostanza che egli avesse voluto acquistare, nonostante i grami tempi di guerra, uno dei suoi capolavori, il tardo-romantico pastello Ore liete (che misurava ben cm 90×60), opera che era stata premiata alle Esposizione Riunite di Milano mezzo secolo prima: in una sorta di memorandum-testamento egli decise di lasciargli il materiale artistico che teneva nello studio.

Fig. 12, Giovan Battista Longanesi, Busto di Acquirino Pinza, 1926, Comacchio (Fe), Collezione Comunale d’Arte di Palazzo Bellini
A Bondeno, infatti, la nuora di Tassi, Mara, conserva ancora decine di opere di Giovan Battista Longanesi, soprattutto grafiche: testate per le riviste “L’arte illustrata” e “Italia ride”, studi per diplomi e pergamene, ritratti virili a penna e a china, stemmi acquerellati, schizzi architettonici, disegni a matita inneggianti alla regina Margherita di Savoia. Fanno spicco il bozzetto per lo Stabilimento Cromo-litografico Zagatti (1899), dove il Duomo e il Castello di Ferrara sono sapientemente abbinati ad allegorie di gusto liberty; quello per l’Aromatico Tonico Ferrara, liquore euforico brevettato dal chimico Giuseppe Toselli (con l’aggiunta del monumento all’Ariosto e di varie figure che ne avevano evidentemente goduto i benefici); il diploma commemorativo del 1899 relativo agli “ostaggi ferraresi degli Austriaci” di cinquant’anni prima e l’altro per la Società di Mutuo Soccorso fra gli operai tipografi di Ferrara, già pubblicato con inesatta attribuzione a Edmondo Fontana; studi a matita raffiguranti una pittrice al cavalletto e due uomini nella bottega di un antiquario, evidentemente uno dei luoghi prediletti da Giovan Battista nelle sue frequentazioni quotidiane; il progetto acquerellato per la copertina del libro Quando s’era studenti. Storielle allegre di Mario Pilo e Ferruccio Rizzatti (stampato a Bologna, da Azzoguidi nel 1886).
Ormai affaticato, Giovan Battista presentò alla sua ultima collettiva ferrarese (la Mostra Sindacale d’Arte, allestita presso il Castello Estense di Ferrara nell’ottobre 1939) soltanto studi grafici raffiguranti pescatori e “reietti”, un paio di pastelli e studi a olio di marine e di ritratti, ma non più opere di scultura e nemmeno miniature.
Poco prima di morire a Ferrara, nel 1942, realizzò una modesta pala per la chiesa della Madonnina, nei cui pressi (via Camposabbionario) aveva sistemato la sua ultima abitazione: dipinto ricoverato presso Santa Francesca Romana, dopo il terremoto del 2012, e raffigurante due santi che adorano il Crocifisso, quadro triste in ogni senso.
Concludiamo così questo articolo, più semplice omaggio a un artista dimenticato che saggio critico, un po’ come ha fatto Woody Allen nel significativo film Broadway Danny Rose (1984) per il mondo del varietà…
Note
[1] V.V., Cronaca d’arte, “Gazzetta Ferrarese”, 16 febbraio 1909.
[2] Op. cit.
[3] Op. cit.
[4] Op. cit.
[5] Artisti nostri – Lo scultore Giovanni Longanesi, “Corriere del Lunedì”, 17 ottobre 1927.
[6] Tra questi libri, ricordiamo perlomeno A. Razzolini, Miniature, imitazione dell’antico, 1902; Miniature di Nestore Leoni ad imitazione dell’antico. Petrarca, I Trionfi, 1904 (Leoni, disegnatore presso l’Istituto Geografico Militare di Firenze, era assai ammirato quale miniaturista da Giuseppe Agnelli, direttore della Biblioteca Comunale ferrarese); H.J.G. Martin, Les peintres de manuscrits et la miniature en France, Paris 1909.
[7] Artisti nostri – Lo scultore Giovanni Longanesi, “Corriere del Lunedì”, 17 ottobre 1927.
[8] Op. cit.
[9] Op. cit.
[10] Op. cit.
Bibliografia essenziale
V.V., Cronaca d’arte, “Gazzetta Ferrarese”, 16 febbraio 1909.
Artisti nostri – Lo scultore Giovanni Longanesi, “Corriere del Lunedì”, 17 ottobre 1927.
M. Dotti, Il Circolo dell’Unione di Ferrara, Ferrara 1971, p. 17.
L. Scardino (a cura di), Ferrara ritrovata. 55 Artisti ferraresi dell’Ottocento e del Novecento, Ferrara 1984, pp. 74-75.
R. Roda, R. Sitti (a cura di), La Certosa di Ferrara, Padova 1985.
L. Scardino, Angelo Longanesi Cattani, Portomaggiore 1988.
L. Scardino (a cura di), I due Tassi. Dipinti di Gaetano e Carlo Tassi dal 1930 al 1988, Ferrara 1990.
A. Panzetta, Dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento, vol. I, Torino 1994, p. 167.
L. Scardino, A.P. Torresi (a cura di), Neo-estense. Pittura e Restauro a Ferrara nel XIX secolo, Ferrara 1995, p. 210.
L. Scardino, A.P. Torresi, Post Mortem. Disegni, decorazioni e sculture per la Certosa ottocentesca di Ferrara, Ferrara 1998.
A.P. Torresi, Restauri ferraresi all’Accademia di Carrara, “Bollettino della Ferrariae Decus”, n. 22, 31 dicembre 2005.
L. Scardino, A.P. Torresi, 50 opere d’arte dalle Collezioni Comunali di Comacchio (con un inventario dell’intera raccolta), Ferrara 2009.
Ferrara, Archivio Storico Comunale, sec. XIX, Carteggio Amministrativo, Istruzione Pubblica, Pinacoteca-Belle Arti, Scuola Belle Arti, Insegnanti, busta 11, fascicolo 15.
Pubblicato su “MuseoinVita” | 2 | dicembre 2015