Premessa

La biblioteca dei Musei Civici di Arte Antica presso Palazzo Bonacossi ha ripreso solo da pochi mesi la sua attività. Il periodo di stop, durato circa un anno, era iniziato quando entrambi i bibliotecari, felicemente vittoriosi sulle perfide leggi pensionistiche vigenti, hanno preso possesso del loro meritato riposo. In assenza di “successori” la vera “successione” è avvenuta solo nella seconda metà del 2016 con l’assegnazione da parte dell’amministrazione di nuove “risorse umane”. L’espressione risorsa umana, molto cara all’idioma burocratese, a mio dire è sempre fastidiosa, un po’ perché l’essere risorsa, liberandoci bontà sua dal sospetto di essere un peso, ci accomuna alle altre risorse amministrative come il denaro e gli strumenti di lavoro. Bandita da qui in poi –lo prometto- ogni espressione di questo genere, confortato peraltro dal fatto che la lingua parlata nei volumi di questa biblioteca già rappresenta una felice vacanza dal burocratese, cercherò di spiegare con parole più umane in che modo abbiamo ritenuto di rimettere in moto i vari ingranaggi di questa importante istituzione.

Premetto che questa fase ancora non conosce purtroppo l’apertura al pubblico. E’ in corso infatti un poderoso lavoro di riorganizzazione complessiva che nel suo svolgimento non riesce davvero a coesistere con l’assistenza al pubblico. Tuttavia siamo fiduciosi nel fatto che questo disagio sarà compensato al termine dei lavori dai benefici che anche la fruizione pubblica potrà trarne.

E’ quindi mia intenzione in queste righe delineare un quadro di insieme della situazione presa in carico, delle scelte in atto e delle prospettive che si aprono per il futuro della biblioteca.

Fig. 1, lavori in corso


Continuità e discontinuità

E’ abbastanza intuitivo che l’intervallo di stasi della biblioteca di cui ho detto non ha reso possibile un diretto passaggio delle consegne dai precedenti bibliotecari al personale di nuova assegnazione. L’assunzione in carico di una biblioteca senza l’ausilio di un avviamento da parte di chi in precedenza ha condotto il lavoro non è niente di drammatico, naturalmente, ma pone sempre chi subentra in una condizione del tutto particolare, che come in tutte le cose ha svantaggi e vantaggi. Il metodo di lavoro è certamente condizionato da questo fatto, come cercherò d spiegare. Prima ancora annoto come sia differente lo spirito con cui ci si introduce al lavoro nei due casi. Se riesco a rendere l’idea tra l’avvicendamento in condizioni logistiche di continuità o di discontinuità suggerisco di considerare l’immagine di una catena e dei suoi due volti: la catena da un lato offre la sicurezza di proseguire in scelte e condotte collaudate, ma dall’altro offre anche più resistenza alle innovazioni che si volessero mettere in atto. L’interruzione di questa catena avvenuta per ragioni di necessità delinea quindi certamente delle difficoltà, ma al tempo stesso apre un terreno di ampia libertà operativa che poi è l’occasione da sfruttare nella contingenza non facile, facendo di necessità virtù.

Per quanto riguarda i metodi di lavoro, mancando la possibilità di avvalersi della cosiddetta memoria storica dei precedenti bibliotecari occorre chiamare in soccorso l’osservazione; cioè scoprire i metodi di lavoro adottati in passato da un attento esame dei documenti presenti e soprattutto imparare a conoscere il patrimonio nei suoi contenuti nel modo più ovvio e diretto, cioè frequentando assiduamente gli scaffali, disturbando i volumi dalla loro quiete polverosa. Naturalmente poi è giusto ricordare che soccorrono anche, e non poco, le informazioni preziose catturate dal più “antico” personale che presta servizio in ruoli “attigui” a quelli della biblioteca, meno fortunati nell’eterna sfida con le leggi pensionistiche.


Storia e identità della biblioteca

Credo che in ogni valutazione sul futuro della biblioteca si debba attribuire giusto rilievo alla ricostruzione, almeno a grandi linee, della storia della biblioteca in questione, e intendo non solo la storia riferita alla sue dinamiche lavorative interne, ma più in generale all’istituzione dentro la quale e per la quale operiamo. E’ importante infatti per capire quale è l’identità storica della biblioteca e di conseguenza quali scelte è meglio operare per il futuro.

Per inciso annoto che è possibile ripercorrere in modo documentato le vicende della fasi storiche costitutive di questa biblioteca, cioè dalla formazione del nucleo originario del suo patrimonio, consultando un volume del quale in nota metto qui sotto gli estremi[1] per chi fosse curioso di approfondimenti.

Fig. 2, una parte degli scaffali con i libri ricollocati e pronti per la fruizione

Qui, invece, mi limito a ripercorrere, sicuro di peccare in semplificazione, alcuni di questi passaggi a ritroso nel tempo per isolare gli aspetti che reputo più significativi e utili a connotare l’identità dell’eredità che abbiamo ricevuto in consegna e che ai posteri dovremmo consegnare. La biblioteca di Palazzo Bonacossi porta oggi il nome dal Palazzo dove è collocata la sua attuale sede e dove ha sede anche la direzione dei Musei Civici di Arte Antica dalla quale dipende nell’organigramma dell’amministrazione comunale.  Prima che il Servizio Musei di Arte Antica nell’anno 2000 stabilisse la sua sede a Palazzo Bonacossi la biblioteca si trovava negli ambienti adibiti ad uffici di Palazzo Schifanoia. Ma la sua storia risale ancora più indietro nel tempo. Il nucleo originario del  patrimonio librario infatti non si costituisce a Schifanoia, ma ancora prima nel Palazzo del Paradiso (attuale Biblioteca Ariostea) dove viene collocata nel 1758 per effetto di una donazione di 500 volumi da parte di Vincenzo Bellini. I volumi erano stati offerti dal generoso donatore in stretta correlazione ad una sua donazione numismatica per la conoscenza e lo studio della quale erano destinati i volumi stessi. Nell’atto di nascita di questa biblioteca c’è dunque con tutta evidenza uno stretto legame funzionale tra il patrimonio librario e le collezioni d’arte offerte alla fruizione della comunità. La sezione più cospicua di questa biblioteca era costituita da monografie di storia locale metodicamente ricercate dal collezionista. Successivamente la trasmigrazione di questo patrimonio a Palazzo Schifanoia, con la costituzione dell’omonimo museo, ha conservato questo legame funzionale tra la biblioteca e le collezioni e così anche è nell’attuale destinazione.

Questa premessa un po’ insistita non è fine a se stessa, ma serve ad inquadrare i punti fermi adottati oggi come guida nel decidere la struttura e il funzionamento della biblioteca nel suo nuovo corso senza stravolgere la sua identità storica. Questi punti fermi, come sarà già chiaro, sono due: da un lato la composizione della biblioteca nelle sue varie sezioni attorno ad un ricco nucleo centrale destinato all’approfondimento della Storia e l’arte locale e dall’altro la sua principale funzione di supporto alle attività espositive dei Musei e delle collezioni appartenenti al medesimo servizio e naturalmente di supporto agli studiosi che a queste si prestano.

Struttura della nuova biblioteca ed elementi di novità

Questa centralità della sezione che si occupa della storia dell’arte locale si riflette anche nella planimetria degli ambienti destinati alle varie sezioni visibile nell’immagine qui pubblicata. Nella sezione –denominata per semplicità “storia locale”- trovano spazio volumi dedicati ad artisti, opere, monumenti della storia ferrarese. Tuttavia occorre ricordare che il patrimonio della biblioteca si è ampliato considerevolmente nel corso del tempo e si è esteso a  molteplici materie di studio non ricomprese nel nucleo originario di cui si è  detto. Questo si spiega perché nel corso del tempo si sono succedute molteplici e consistenti donazioni di privati che sarebbe impossibile qui enumerare. Anzi si può dire che i cosiddetti atti di liberalità hanno rappresentato il vero motore di espansione della biblioteca. E’ stato grazie a questi generosi atti donativi che il suo patrimonio si è incrementato in modo davvero impressionante (fino ad un quantitativo stimato approssimativamente in 100.000 volumi volendo ricomprendere anche quelli stipati nei depositi). Su queste basi si è ritenuto di riprogettare le sezioni nelle quali la biblioteca si articola, individuando oltre alla storia locale, di cui si è detto, altre sezioni in grado di rappresentare la varietà di quella parte del patrimonio utile acquisito nel tempo. Senza dilungarmi in inutili elencazioni invito alla visione della rudimentale piantina (non in scala) che darà conto delle sezioni riprogettate e della loro dislocazione nei vari ambienti del palazzo. Un importante elemento di novità collegato alla riprogettazione delle sezioni, che merita giusta evidenza, è rappresentato dall’apposizione per la prima volta su ogni volume di un’etichetta esterna per facilitare il reperimento dei volumi e l’esatta ricollocazione negli scaffali. L’inserimento dei volumi, prima nel sistema bibliotecario locale e nazionale informatizzato, l’etichettatura e infine fisicamente il posizionamento negli scaffali, secondo i nuovi criteri di collocazione, è un lavoro enorme destinato a proseguire sicuramente per buona parte dell’anno in corso.

Le donazioni e il problema della sovrabbondanza

E’ questo un argomento spinoso e articolato, ma investe una parte consistente, oltre ogni previsione, del carico di lavoro che si sta affrontando, con implicazioni anche non semplici sul piano delle scelte. Ed è quindi doveroso di questo dare conto. Come detto la storia della biblioteca ha conosciuto gli atti di liberalità come principale forma di accrescimento del patrimonio. Solitamente quando questo avviene non è affatto insolito che il patrimonio in una certa misura si snaturi, assumendo una fisionomia molto eterogenea, diversa da quella che era un tempo. Del resto è noto che privati trasferiscono collezioni formate secondo il proprio gusto e la sensibilità personale, e in esso ricomprendono anche numerosi volumi non sempre utili alle finalità istituzionali della biblioteca cui sono offerti. Ma non per questo rinunciano ad una comprensibile volontà di non frammentazione di quello che hanno composto pazientemente in una vita. Dal punto di vista di chi riceve poi non è sempre semplice nei rapporti col donatore scorporare da un atto donativo ciò che è utile e ciò che non lo è. Certo è che oggi e per il futuro di una biblioteca pubblica come la nostra si impone l’adozione di un’ottica differente, da definire con cura e misura, ma finalizzata a non aggravare il carico e la consistenza impressionante, quale si è rivelata nostri occhi,  di volumi che svariano su materie del tutto estranee alle finalità istituzionali di questa biblioteca, per non parlare di doppie e triple copie annidate sugli scaffali. Questo fenomeno è propio la conseguenza tipica dell’accavallarsi nel tempo delle donazioni. Si è deciso quindi di intervenire sulle duplicazioni e sul superfluo, termine ingeneroso e semplificatorio, che userò per rendere l’idea in attesa di trovarne, se c’è, uno migliore.

Fig. 3, una parte degli scaffali con i libri ricollocati e pronti per la fruizione

Fig. 3, una parte degli scaffali con i libri ricollocati e pronti per la fruizione

Non bisogna dimenticare che ogni volume comporta sempre comunque l’impiego di spazi e risorse di denaro e di personale per tutte le attività accessorie. Si è deciso pertanto di accantonare il materiale non utile, liberando così gli spazi sempre preziosi per nuove più mirate acquisizioni. Resta fermo che quanto è pervenuto in passato tramite atto di liberalità, anche qualora ritenuto non pertinente, non viene mai eliminato fisicamente, ma solo asportato dagli scaffali e conservato in altro luogo non accessibile al pubblico dal quale potrà però sempre essere recuperato all’occorrenza, avvalendosi di database elencativi opportunamente in corso di compilazione man mano che procede l’opera generale di ricollocazione. Ritorno sulla parola “superfluo” che può apparire sgradevole per il tono sprezzante che pare evocare e per la soggettività che la contraddistingue sempre. Peraltro se il concetto riferito a una pubblicazione già risulta difficile da accettare in astratto per chiunque non sia affetto da una patologica ostilità verso il libro, risulta ancora più difficile quando si passa alla fase esecutiva, quando caso per caso si prende in mano ogni volume. Perché ogni volume appare per quello che è, cioè frutto di un lavoro, prolungate fatiche, aspettative di molti soggetti e non solo dell’autore, un agglomerato di attese spesso non adeguatamente ripagate dall’attenzione dei lettori. Chi fa questo lavoro non lo ignora, ma sa al tempo stesso che occorre fare delle scelte seguendo dei criteri. E non farle non renderebbe un servizio utile a nessuno, neppure agli interessati che potrebbero a prima vista dolersene. L’importante è usare criteri condivisi, sistemi di scorporazione che non siano irreversibili, permettendo in ogni tempo di ritornare sulle decisioni prese, ed è quello che come ho detto, ci siamo prefissi di fare.

Mi sono dilungato anche troppo sul punto, testimoniandone involontariamente la sofferenza, e concludo per rincuorare me e spero anche chi legge, aggiungendo che anche questo scarto può rendere un servizio utile, non solo alla biblioteca, ma anche agli autori apparentemente penalizzati, perchè in una prospettiva più ampia possono essere avviati per esempio al circuito degli scambi con altre istituzioni destinandoli quindi a spazi espositivi più consoni e procurando alla biblioteca un forma di incremento mirato del patrimonio a costo zero. Questa è la strada che si è deciso di percorrere, almeno nelle intenzioni, visto che siamo solo all’inizio. In ogni modo parallelamente alla ricollocazione dei volumi, stanno prendendo forma nutriti database di volumi avviabili al circuito agli scambi con altre istituzioni.

Di certo mi sento di dire già oggi che per il futuro occorrerà un’attenta valutazione preventiva del materiale offerto in dono, se ci sarà. L’argomento degli atti di liberalità e di come una biblioteca pubblica deve porsi verso di essi è un capitolo non facile da trattare e molto articolato che meriterebbe una trattazione a parte, anche in considerazione del diverso ruolo assunto oggi dall’editoria rispetto al passato, e lo rimando volentieri al futuro ma col proposito di tornarci.

Apertura al pubblico situazione contingente e riflessioni molto generali
Fig. 4, Pianta della biblioteca di Palazzo Bonacossi

Fig. 4, Pianta della biblioteca di Palazzo Bonacossi

Per concludere osservo che ancora manca un tassello fondamentale a questo puzzle che si sta componendo. Una biblioteca sarebbe senz’altro monca se non si ponesse come obiettivo di essere frequentata anche da un pubblico, e intendo con questo un pubblico non specialistico. Un pubblico di varia composizione ed estrazione sociale, con una forte componente giovanile, che sia mosso anche solo dalla curiosità di scoprire quello che la biblioteca ha da offrire, senza avere obiettivi precisi. Abbiamo tutti presente le immagini delle biblioteche locali affollate soprattutto da studenti che si portano i libri di studio da casa. Per contro – giorno dopo giorno – si accresce in me nel corso di questo lavoro la convinzione della ricchezza di contenuti scritti e anche di immagini fotografiche che si possono offrire alla fruizione pubblica. Esercitare una seduzione del genere verso il pubblico è una sfida che incontra avversità note a tutti. In generale c’è il calo della considerazione che nella collettività affligge il libro cartaceo, un’utilità e un piacere da far riscoprire e non necessariamente concorrenziale con le seduzioni offerte del digitale.

Una riflessione generale che si può anticipare, e che meriterà di essere discussa e approfondita anche questa in futuro, investe il modo in cui l’immaginario collettivo nella modernità tende a delineare la biblioteca. Cioè come un luogo dove si impongono restrizioni alla nostra libertà: la fisicità dei volumi è vista restrittiva rispetto all’agilità e la velocità del digitale, e anche solo il fatto di dover entrare riducendo al silenzio il compagno di vita cellulare è vissuto come una limitazione di libertà.

Un cambiamento di prospettiva auspicabile, volendo guardare al futuro con una certa benevolenza, potrebbe passare per l’idea che la biblioteca diventi un luogo dove ci si possa riappropriare di quei percorsi di ricerca più tortuosi, espropriati dai moderni motori di ricerca, e che questi ultimi hanno degradato dal ruolo di valore in sé stesso a quello di semplice mezzo per arrivare a un risultato. E quanto al compagno cellulare non sarebbe male favorire l’idea che la biblioteca sia un luogo nel quale non siamo obbligati a spegnerlo, ma siamo finalmente autorizzati a farlo, prendendoci una vacanza dalla sua assillante presenza. Insomma far scoprire che in una biblioteca è possibile ritagliarsi nella giornata momenti alternativi di libertà. Momenti di respiro e non di apnea subacquea dall’interconnessione permanente. Forse è ancora presto, ma occorre un po’ crederci. Insomma un altro importante argomento da approfondire, ma che merita fin d’ora di occupare i nostri pensieri.

Per tornare a questioni più pratiche riguardanti l’apertura al pubblico della nostra biblioteca naturalmente occorrerà passare prima per la predisposizione di tutte le condizioni logistiche necessarie. L’allestimento del servizio richiede risorse aggiuntive o soluzioni compromissorie da studiare che permettano di fare tesoro di quello che si ha a disposizione.

Nell’attuale situazione della biblioteca di Palazzo Bonacossi occorrerà sicuramente attendere che i lavori di ricollocazione abbiano raggiunto almeno un grado di avanzamento tale da rendere praticabile, o non troppo disagevole, il servizio al pubblico. Detto questo, gli obiettivi verso cui tendere, che spero di aver delineato con una certa chiarezza, stanno prendendo forma, nel non facile incedere verso il loro compimento.

Note

[1] La biblioteca del Museo di Ferrara nel Settecento e il suo catalogo, “Atti e Memorie della Deputazione Provinciale Ferrarese di storia Patria”, sezione IV, vol. XIII, 1996.

Pubblicato su “MuseoinVita” | 3-4 | giugno-dicembre 2016

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