Intorno al 1585 il cortigiano ferrarese Orazio Ariosti, pienamente coinvolto nei dibattiti alle problematiche del poema eroico e alla questione della superiorità del Tasso su Ariosto, si accostò – dopo che il ben più celebre poeta «ebbe condotto a termine la Liberata» – alla realizzazione di un proprio poema cavalleresco, oggi comunemente conosciuto come L’Alfeo[1]. Interrompendo la narrazione dei fatti precedenti la conquista e la conversione della Norvegia per opera di Alfeo e del suo amore contrastato per Alvilda, l’autore espone in una ottava autobiografica (III, 65) la propria concezione circa il ruolo dell’arte figurativa manifestando la sua ammirazione per